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STATO DELLA CHIESA
Approfondimento
Approfondimento: STATO DELLA CHIESA
È l'insieme dei territori soggetti alla sovranità temporale del papa, che iniziarono a prendere forma stabile dall'VIII secolo, a cominciare dal nucleo originario costituito dal DUCATUS ROMANUS bizantino, corrispondente grossomodo all'odierno Lazio. La sua legittimità giuridica fu a lungo basata sulla Donazione di Costantino (CONSTITUTUM CONSTANTINI), un falso documento dimostrato tale dall'umanista Lorenzo Valla nella sua opera del 1440, DE FALSO CREDITA ET EMENTITA CONSTANTINI DONATIONE, redatto durante il cruciale periodo dell'VIII secolo, sotto il pontificato di Paolo I (757-767). Secondo questo documento, una volta convertitosi, l'imperatore Costantino avrebbe concesso a papa Silvestro I (314-335) il potere su Roma, la penisola italiana e il primato su Antiochia, Costantinopoli, Alessandria e Gerusalemme. A partire dal IV secolo, comunque, la Chiesa iniziò ad acquisire, tramite donazioni, anche imperiali, vasti possedimenti fondiari soprattutto in Italia meridionale (Sicilia, Calabria, Sardegna) e in Africa, Gallia e penisola balcanica; ciò fu reso possibile dall'editto di Nicomedia, emanato dall'imperatore Galerio il 30 aprile 311 e riconfermato nel 313 dall'imperatore Costantino con una lettera -alla quale ci si riferisce erroneamente col nome di editto di Milano-. Con questo editto i cristiani ebbero il permesso di "esistere di nuovo e di riedificare i loro luoghi di riunione e di culto", ovvero ottennero la libertà di culto dopo le persecuzioni subite da parte di diversi imperatori. Questi primi possedimenti costituirono il nucleo originario del cosiddetto PATRIMONIUM SANCTI PETRI (Patrimonio di San Pietro). Successivamente l'editto di Costantinopoli, emanato dall'imperatore Teodosio I il Grande (392), con cui si vietarono i culti pagani, rafforzò ulteriormente il prestigio della Chiesa. Infine, dopo che ebbe riconquistata l'Italia con una lunga e sanguinosa campagna militare (guerra greco-gotica, 535-553), l'imperatore Giustiniano emanò la "Prammatica Sanzione", con la quale assoggettò la penisola alle leggi bizantine e, riconoscendo uno stato di fatto originatosi con il crollo dell'impero romano d'Occidente, assegnò ai vescovi un ruolo primario nell'amministrazione locale civile dell'impero. Diventati così una sorta di funzionari dell'impero, ai vescovi fu riservato il controllo sulle rendite della città in cui risiedevano, la cura degli edifici pubblici, la sorveglianza sulla burocrazia e l'assistenza degli emarginati, delle vedove e degli orfani. In modo particolare il vescovo di Roma, ovvero il papa, divenne un punto di riferimento ed un baluardo per l'Occidente, vista la lontananza dell'imperatore, che risiedeva a Costantinopoli. A papa Gregorio Magno (590-604), ex ambasciatore alla corte imperiale di Costantinopoli, si dovette l'inizio di una complessa opera di ricomposizione amministrativa, politica ed economica dei beni pertinenti al Patrimonio di San Pietro. L'invasione dei longobardi (568-569) determinò un periodo di instabilità che fu abilmente sfruttato dai pontefici romani; infatti, ottenendo dal re Liutprando il CASTRUM di Sutri (Donazione di Sutri, 728), papa Gregorio II (715-731), diede consistenza giuridica al potere temporale della Chiesa; per gli studiosi con questo atto si gettarono definitivamente le basi del futuro Stato della Chiesa. Poco dopo, tuttavia, per bloccare il disegno longobardo di fondare uno stato unitario nella penisola italiana, papa Zaccaria (741-752) e il suo successore, Stefano II (752-757), invocarono l'aiuto dei franchi, consacrando re Pipino il Breve, fondatore della dinastia carolingia. In base al patto stretto col nuovo re franco -la cosiddetta PROMISSIO CARISIACA-, la Chiesa acquisì i territori che in precedenza i longobardi avevano strappato ai bizantini (Esarcato, Pentapoli bizantine, "corridoio di Perugia"). Nel 774 il Patrimonio di San Pietro si accrebbe in seguito alle ulteriori donazioni di Carlo Magno; la Chiesa acquisì territori nei ducati longobardi di Spoleto e Benevento, oltre a Luni, Berceto, Parma, Reggio Emilia, la Tuscia e la Corsica -che passò sotto il controllo di Pisa nel secolo XI-. Le donazioni carolingie furono successivamente confermate, seppure con delle modificazioni, dagli imperatori Ludovico il Pio (817), Ottone (962) ed Enrico II (1020). La politica di alleanza con i carolingi, inoltre, favorì l'inizio della trasformazione dei pontefici romani da DOMINI di un PATRIMONIUM, a veri e propri sovrani di un TERRITORIUM, come attestano alcune lettere inviate da papa Adriano I (772-795) all'imperatore Carlo Magno. Nei secoli successivi il controllo politico sul Patrimonio di San Pietro da parte dei pontefici si rafforzò e si raffinò sempre più attraverso tre strumenti amministrativi, posti sotto il controllo diretto del papa: le diocesi suburbicarie; le DOMUSCULTAE -complessi fondiari e villaggi-; i CASTRA SPECIALIA -insediamenti di nuova costruzione o preesistenti, fortificati, in opposizione a quelli controllati dalla feudalità laica-. L'edificazione di quello che, a partire dal secolo XIII, si può definire ormai Stato della Chiesa, ricevette un impulso notevole in termini teorici e giurisprudenziali, con i pontificati di Gregorio VII (1073-1085) -passato alla storia per l'episodio di Canossa e, soprattutto, per il DICTATUS PAPAE, col quale si impose sull'imperatore Enrico IV durante la "lotta per le investiture"-, e Innocenzo III (1198-1216), due tra i più fermi assertori di una visione politica teocratica. Questa concezione, affermando la superiorità del potere spirituale su quello temporale, implicava la totale libertà della Chiesa dal controllo imperiale, dalle lotte di fazione dell'aristocrazia romana e dai privilegi vescovili. Con Innocenzo III -al quale si deve la formulazione della dottrina teocratica attraverso l'uso dei simboli del sole (papa) e della luna (imperatore)- emerse in tutta la sua forza il concetto di PLENITUDO POTESTATIS (pienezza dei poteri), con riferimento al ruolo del pontefice romano, visto che "Pietro presiede ogni cosa in pienezza e in latitudine, poiché egli è il Vicario di colui al quale appartengono la terra e tutto ciò che essa contiene e tutti coloro che la abitano". Sulla stessa linea politica si mossero poi, in modo particolare, Gregorio IX (1227-1241) e Bonifacio VIII (1294-1303). Nei suoi aspetti salienti la costruzione dello Stato della Chiesa può dirsi conclusa alla fine dei due lunghi e travagliati periodi della "cattività avignonese" (1309-1377) e del "grande scisma d'Occidente" (1378-1417). L'esilio della sede papale ad Avignone, in modo particolare, favorì la spartizione di una gran parte del territorio della Chiesa tra diversi feudatari locali -soprattutto in Umbria e nelle Marche-, che furono, tuttavia, gradualmente ed energicamente riportati sotto il dominio pontificio per opera del legato di Innocenzo VI (1352-1362), Egidio Albornoz; col pontificato di Martino V (1417-1431) si compì la restaurazione del potere papale. Nella seconda metà del XV secolo lo Stato della Chiesa comprendeva ormai l'odierno Lazio -con l'esclusione di una parte del reatino e della porzione a sud di Terracina-, l'Umbria, le Marche e la Romagna; tra i secoli XVI e XVII, infine, con l'annessione di Ravenna (1529) e dei ducati di Ferrara (1598), Urbino (1631) e Castro (1649), raggiunse la sua massima espansione. Sullo scorcio del XVIII secolo, in seguito agli avvenimenti rivoluzionari francesi e all'ascesa di Napoleone, il potere temporale della Chiesa iniziò a vacillare; nel 1797 il trattato di Tolentino, concluso dopo la sconfitta delle truppe pontificie ad opera di quelle francesi, papa Pio VI (1775-1799) fu costretto a cedere la Romagna, Bologna e Ferrara; l'anno seguente, con la proclamazione della Repubblica Romana, il papa venne deportato in Francia. La Restaurazione, seguita alla caduta di Napoleone e al congresso di Vienna (1815), sembrò ripristinare la situazione precedente ma già incombevano sullo Stato della Chiesa gli avvenimenti del Risorgimento. La disfatta della seconda Repubblica Romana (1849) grazie all'intervento militare francese, che permise il ritorno a Roma di Pio IX (1846-1878), non riuscì a fermare i moti rivoluzionari di Bologna, della Romagna, Marche e Umbria, scoppiati in concomitanza con la seconda guerra d'indipendenza (1859). Nel marzo del 1860 Bologna e la Romagna con un plebiscito votarono l'annessione al regno di Sardegna; la cosa si ripeté pochi mesi dopo per le Marche e l'Umbria, in seguito alla sconfitta delle truppe pontificie a Castelfidardo (18 settembre). Fu solo grazie all'intervento di Napoleone III che lo Stato della Chiesa poté conservare il Lazio; tuttavia la caduta dell'imperatore francese, in seguito alla sconfitta nella guerra franco-prussiana (1870), permise l'entrata delle truppe italiane in Roma attraverso la "breccia di Porta Pia" (20 settembre 1870), che posero fine alla millenaria storia dello Stato Pontificio. Pio IX non riconobbe l'occupazione, aprendo la "questione romana", la cui composizione si ebbe solo durante il fascismo con la stipulazione dei patti lateranensi, che riconobbero alla Santa Sede la sovranità sulla Città del Vaticano.