La penisola italiana è una delle maggiori del continente europeo, insieme alla Scandinavia, alla penisola iberica e ai Balcani. Il territorio, dalla forma assai caratteristica, si estende per 301.251 chilometri quadrati ed è pianeggiante per il 41,7 % e montuoso per il 35,2%. Le coordinate dei punti estremi sono, rispettivamente: 47° 05' 29'' di latitudine Nord per il punto più settentrionale, la Vetta d'Italia, in Valle Aurina, nella provincia autonoma di Bolzano; 35° 29' 26'' di latitudine Nord per l'estremo meridionale, la Punta pesce Spada dell'Isola di Lampedusa, in provincia di Agrigento; 6° 37' 32'' di longitudine Est per il punto più ad ovest, la Testata della Valle Stretta nelle Alpi Cozie, in provincia di Torino, e 18° 31' 13'' di longitudine Est per l'estremo orientale del faro di Capo d'Otranto, in provincia di Lecce. La penisola confina a nord con la Francia, la Svizzera, l'Austria e la Slovenia ed è bagnata ad ovest dal Mar Ligure, dal Mare di Sardegna e dal Mar Tirreno, a sud dal Mar Ionio e ad Est dal Mare Adriatico, per uno sviluppo costiero complessivo di 7.456,4, che comprendono anche le isole.
Il territorio insulare italiano conta, oltre alla Sicilia e alla Sardegna, arcipelaghi come quello Toscano (isole di Elba, Capraia, Giglio, Pianosa, Montecristo, Giannutri e Gorgona), le isole Partenopee (Ischia, Capri e Procida), le isole Ponziane (Ponza, Palmarola, Zannone, Ventotene e Santo Stefano), le Tremiti (S. Domino, S. Nicola e Capraia), le Egadi (Favignana, Maréttimo e Lèvanzo), le isole Pelagie (Lampedusa e Linosa) ed altre isole sparse quali: San Pietro, Sant'Antioco, La Maddalena, Caprera e l'Asinara, che circondano la Sardegna; Ustica e Pantelleria, al largo delle coste siciliane, solo per citare le maggiori. Di queste alcune ospitano comuni autonomi, alcune fanno parte di aree protette o per altre cause non sono liberamente accessibili mentre altre, un tempo abitate, sono ormai abbandonate. Si contano anche alcune isole lacustri, sia nei bacini prealpini che nei laghi dell'Italia peninsulare.
Il territorio è chiuso a nord dall'arco alpino, il principale sistema montuoso europeo, che lo divide dagli stati esteri confinanti; la catena delle Alpi presenta nella parte occidentale le cime più elevate con il Monte Bianco (4810 metri), il Monte Rosa (4634), il Cervino (4478) ed il Gran Paradiso (4061) ed è tradizionalmente divisa in otto regioni (Alpi Marittime, Cozie, Graie, Pennine, Lepontine, Retiche, Carniche e Giulie) che a loro volta comprendono sottogruppi quali ad esempio le Alpi Orobie, le Dolomiti, le Alpi Venoste, Breonie, Aurine e Pusteresi. Ad occidente, quasi senza soluzione di continuità, dalle Alpi Marittime parte la dorsale dell'Appennino che percorre da nord a sud tutta la penisola dividendosi a sua volta nell'Appennino Ligure, Tosco.Emiliano, Umbro e Marchigiano, Abruzzese, Campano e Lucano; in Calabria tale sistema montuoso si articola nei gruppi della Sila, delle Serre e dell'Aspromonte per proseguire in Sicilia con i Monti Peloritani, i Nebrodi e le Madonìe. Accanto alla catena appenninica si individuano sistemi subappenninici e preappenninici o edifici montuosi diversi ma di notevole importanza: è il caso, per esempio, delle Alpi Apuane in Toscana, dei Monti Sabini nel Lazio, del promontorio del Gargano in Puglia e dei Monti del Gennargentu in Sardegna. Il sistema appenninico, con il suo sviluppo continuo e lineare, rende in modo efficace l'idea della formazione del territorio, caratterizzato da un'accentuata sismicità, soprattutto nelle regioni centrali e meridionali, e dalla presenza di attività geotermica e vulcanica. In Sicilia spicca l'Etna, in più importante vulcano ancora attivo, cui fanno da corona lo Stromboli ed il Vulcano, nelle Isole Eolie, anch'essi in attività; in Campania al Vesuvio ormai spento si aggiunge l'area del Campi Flegrei e di Pozzuoli, dove si registra invece la presenza di solfatare ed attività bradisismica. L'origine vulcanica unisce tutte le località comprese nella regione tirrenica che va dalla zona di Napoli alla provincia di Grosseto, cui si devono aggiungere la zona amiatina, la Sardegna nord-occidentale e parte delle prealpi venete con i Monti Lessini e l'altopiano di Asiago: ne sono prova la presenza di laghi vulcanici e sorgenti termali e la natura geologica del territorio. Meno di un quarto del territorio nazionale è pianeggiante. La maggior parte (oltre il 70%) è occupata dalla pianura padana, che si estende dal nord del paese, dal Piemonte al Mare Adriatico, tra il versante meridionale dell'arco alpino e quello settentrionale dell'Appennino Tosco-Emiliano; si concentrano in questa regione le attività industriali e la zootecnia. Altre estensioni degne di rilievo sono la pianura veneta, che occupa la regione alle spalle del golfo di Venezia, tra i Colli Euganei e il golfo di Trieste; il tavoleire e la penisola salentina in Puglia; la Maremma e la piana dell'Arno in Toscana; l'agro romano e quello pontino, che si estendono senza soluzione di continuità nel Lazio tra i Monti della Tolfa ed i Monti Ausoni; l'agro campano che circonda Napoli ed il Vesuvio, occupano buona parte della provincia di Caserta ed arrivando fino alla penisola sorrentina; il Campidano in Sardegna, esteso dalla penisola di Sinis, che cuide a nord il golfo di Oristano, fino al golfo di Cagliari.
La rete autostradale è gestita da diverse società che riscuotono un pedaggio per consentire il transito dei veicoli (fanno eccezione la A3 nel tratto Salerno-Reggio Calabria ed i raccordi autostradali, cui si accede gratuitamente); si sviluppa lungo alcune direttrici principali che vedono pochi tratti autostradali smaltire la maggior parte del traffico commerciale: in primo piano la A1 Milano-Napoli, meglio nota come ''Autostrada del Sole'', che costituisce l'asse mediano della penisola e in 753 km collega città come Bologna, Firenze e Roma; accanto a questa la A14 Bologna-Taranto, o ''Adriatica'', percorre la fascia litoranea orientale da nord a sud per 744 km collegando i porti di Ancona, Pescara e Bari. Al nord un'arteria viaria insostituibile è costituita dalla A4 Torino-Trieste, o ''Serenissima'', divisa in cinque tronchi per complessivi 606 km, che consente il movimento di persone e merci nell'area più industrializzata del paese. Al sud la A3 Napoli-Reggio Calabria è l'unico asse viario che garantisca collegamenti stradali accettabili con una parte della penisola altrimenti condannata all'emarginazione. Questo tronco autostradale, lungo oltre 400 km, è destinato a sopportare tutto il traffico autostradale tra la Sicilia ed il resto del territorio ma necessita di sostanziali interventi di adeguamento che ne aumentino l'efficienza e la sicurezza. Oltre alle tratte che percorrono la penisola in senso longitudinale sono stati realizzati tronchi destinati ai collegamenti tra le due direttrici costiere, altrimenti seriamente ostacolati dalla presenza della dorsale appenninica; è il caso della A16 Napoli-Canosa e delle autostrade A24 ed A25 destinate a collegare Roma rispettivamente con Teramo e Pescara, sul litorale abruzzese. Un pur rapido esame della rete autostradale non può concludersi senza un cenno ai tronchi che percorrono la Sicilia, in parte ancora da completare, e a quelli che raggiongono i principali valichi di confine con gli Stati esteri confinanti: l'A10 Genova-Ventimiglia, l'A9 Lainate-Chiasso, l'A22 Modena-Brennero, l'A23 Palmanova-Tarvisio permoettono di raggiongere rispettivamente i confini con la Francia, con la Svizzera e con l'Austria alle frontiere del Brennero (verso Innsbruck e le città tedesche di Garmisch e Monaco di Baviera) e di Tarvisio (verso Villach e Graz); la Sardegna è l'unica regione italiana sprovvista di collegamenti autostradali. Dopo un periodo in cui si è puntato soprattutto alla manutenzione dei tronchi in esercizio, vecchi progetti per la realizzazione di nuove opere hanno recentemento ripreso vigore: tra questi la cosiddetta ''variante di valico'', vale a dire il raddoppio del tratto dell'A1 compreso tra Firenze e Bologna. Resta allo stadio di ambizioso progetto la costruzione di un ponte sullo stretto di Messina.
Le grandi comunicazioni stradali sono assicurate anche dalla rete delle strade statali e da alcune strade provinciali di particolare importanza; in questo sistema assumono un ruolo particolare le strade consolari, così chiamate perché realizzate per volontà dei consoli dell'antica Roma allo scopo di raggiungere più facilmente tutte le regioni della penisola. Queste strade, che si diramano a raggiera dalla capitale, occupano ancora oggi un posto di rilievo nella viabilità nazionale, come nel caso della strada statale n.1 Aurelia che continua ad assumere il ruolo di asse viario portante del versante tirrenico nella Maremma toscana. I trafori del Colle di Tenda, del Frejus (12,8 km) e del Monte Bianco (11,6 km) ed i passi del Colle della Maddalena, del Monginevro, del Moncenisio e del Piccolo San Bernardo mettono in comunicazione con la Francia; si passa in Svizzera attraverso il traforo del Gran San Bernardo (5,9 km) ed i passi di Ponte Tresa, Ponte Chiasso (il principale punto di frontiera italo -svizzera), dello Spluga e del Sempione, dove una galleria ferroviaria consente il trasporto delle auto; i principali punti di accesso all'Austria sono il Passo Resia, il Passo del Rombo e i due valichi già ricordati del Brennero e di Tarviso-Coccau. Alle repubbliche ex iugoslave della Slovenia e della Croazia si accede dai valichi di Fusine in Valromana, del passo di Predil, di Stupizza, Nova Gorica, Opatie Selo, Fernetti e Kozina.
A garantire la mobilità delle persone sul territorio nazionale è chiamato anche il trasporto ferroviario, affidato ad una azienda autonoma recentemente privatizzata e ad alcune compagnie che esercitano il servizio di trasporto in concessione su linee secondarie. Le ferrovie italiane, tra le più sicure in Europa, si sono recentemente aperte alla sperimentazione del progetto di ''alta velocità'', che prevede l'allestimento di linee dedicate su cui poter impiegare al massimo delle loro potenzialità i treni speciali ad assetto variabile, già in esercizio sulla rete ordinaria, capaci di raggiungere velocità di crociera ben superiori ai 250 km/h. La realizzazione della rete ad alta velocità mira a creare un sistema di trasporto ferroviario integrato con quelli esistenti negli altri Paesi in modo da abbreviare sensibilmente le percorrenze tra le principali città europee a costi concorrenziali rispetto al trasporto aereo.
Quest'ultimo, infatti, è stato a lungo ostacolato nella sua diffusione dalla scarsa competitività delle tariffe, rimanendo così riservato ad una ristretta utenza commerciale o alle distanze molto lunghe. L'apertura del mercato a nuove compagnie private o alle compagnie di bandiera degli altri paesi europei ha inaugurato una politica dei prezzi aggressiva che ha fatto aumentare il traffico passeggeri anche sulle rotte nazionali in misura considerevole. In Italia vi sono scali intercontinentali a Milano e Roma ed aeroporti internazionali distribuiti in modo abbastanza omogeneo sul territorio, con qualche carenza in alcune zone del sud; i collegamenti sono numerosi, grazie anche alla presenza di compagnie private che hanno avuto il merito di rivitalizzare scali in precedenza trascurati dal traffico commerciale.
Assume proporzioni non trascurabili anche il traffico marittimo, ma ciò è dovuto principalmente alla necessità di assicurare la mobilità di quanti risiedono nelle località insulari: i passeggeri utilizzano quindi prevalentemente rotte interne in traversate di breve durata, per lo più a bordo di navi traghetto di medio cabotaggio o aliscafi; anche in questo campo la concorrenza tra compagnie di navigazione pubbliche e private ha giovato alla qualità dei servizi e alla varietà dell'offerta di collegamenti. Di scarsissimo peso la navigazione fluviale e lacuale: le acque interne sono raramente navigabili soprattutto a causa della conformazione orografica del territorio e le modeste dimensioni che il fenomeno potrebbe assumere non sembrano giustificare i cospicui investimenti necessari per la creazione delle infrastrutture. La nautica da diporto è invece discretamente sviluppata e potrebbe esserlo ancora di più se non fosse sottoposta ad un regime fiscale piuttosto sfavorevole: ne trarrebbe nuovo impulso la cantieristica italiana, antichissima ed apprezzata in tutto il mondo.
Questa situazione di apparente equilibrio non è confermata dall'analisi del trasporto merci: circa l'80% delle merci in Italia viaggia su gomma, con conseguenze assai pesanti sul traffico, sulla sicurezza dei trasporti e sull'inquinamento acustico ed atmosferico. Scarsissima la quota delle merci trasportate su rotaia e pressoché nullo l'apporto del traffico marittimo, se si escludono le rotte internazionali più lunghe ed il trasporto dei prodotti petroliferi. Tale evidente squilibrio rappresenta un'anomalia nel panorama europeo, dove invece prevale una distribuzione più razionale nella mobilità delle persone e delle merci, grazie anche ad un'attenta ricerca dell'intermodalità: Quest'ultimo aspetto ha cominciato ad essere preso nella giusta considerazione solo molto di recente in Italia: nascono così progetti integrati di trasporto che per il momento sono destinati quasi esclusivamente al problema della mobilità nei centri urbani ma che, opportunamente sviluppati, possono aumentare notevolmente l'utilità di mezzi e terminali attualmente impiegati al di sotto delle loro potenzialità.
La penisola italiana è abitata da sempre, come dimostrano gli studi archeologi; nel periodo neolitico in particolare, sul territorio si sarebbero distinti due gruppi etnici appartenenti alle popolazioni mediterranee o preindoeuropee: i Siculi e i Liguri. Italiche vennero denominate le popolazioni preromane insediatesi lungo la dorsale appenninica e di cui restano tracce risalenti all'età del bronzo o alla prima età del ferro: i Veneti, gli Umbri, i Piceni, i Sabini, i Vestini, i Marsi, i Peligni, gli Japigi, gli Osci, i Latini, i Sanniti, solo per citare i gruppi principali. I confini geografici e cronologici di questi insediamenti umani non risultano stabili in modo definitivo, ma almeno per alcuni ceppi sono accertati legami profondi con le popolazioni indoeuropee protagoniste di grandi migrazioni verso la penisola balcanica nel II e nel I millennio a. C. Nella prima età del ferro si affermava nella penisola un popolo caratterizzato dalla pratica funeraria dell'incinerazione: i Villanoviani, così definiti perché a Villanova, presso Bologna, ne sono state rinvenute le tracce più consistenti. I Villanoviani faranno sentire il loro influsso soprattutto in quelle regioni in cui la civiltà è meno sviluppata (Lazio, Toscana) importando nel Lazio la lingua latina. La cultura villanoviana sembra aver avuto un ruolo importante, secondo alcuni storici, nella formazione della civiltà etrusca, la più importante civiltà preromana le cui origini restano avvolte dal mistero. Le popolazioni latine, attraverso lunghi e in parte ancora ignoti processi di interazione, entrarono in contatto con le culture dei Villanoviani -nel Lazio concentrati nell'area dei Colli Albani- degli Etruschi e dei Greci insediati nella parte meridionale della penisola; il mare, che nell'antichità rappresentava un mezzo di comunicazione anziché un elemento di separazione, favorì gli scambi contribuendo alla fusione di alcune comunità in centri urbani che svilupparono poi istituzioni politiche su modelli ispirati dagli Etruschi e dai Greci.
Seguendo un processo di questo tipo nacque la città di Roma, su un territorio abitato fin da epoca immemorabile: gruppi di Albanses (villanoviani abitatori dell'antica Alba Longa, sui Colli Albani) andarono a stabilirsi in pianura unendosi alle comunità già ivi stanziate; dalla fondazione di Roma, che tradizionalmente viene fatta risalire al 753 a. C., inizia un processo di omologazione ed unificazione politica, culturale e linguistica che condizionerà le sorti di tutta la penisola e di buona parte del continente europeo. All'inizio è la dominazione etrusca, spintasi fino alla Campania, a condizionare il primo sviluppo delle istituzioni politiche e della strutture urbanistica e militare della nuova comunità. Roma è retta da una monarchia che tramonta con il crepuscolo della potenza etrusca : le fa seguito un regime repubblicano, a partire dal 509 a. C., ispirato alle forme istituzionali delle poleis greche. La città espande il suo dominio nell'Italia centromeridionale sconfiggendo la lega latina nel 494 nella battaglia del lago Regillo; sbaragliando i Sanniti nel 295 a. C.; vincendo la resistenza di Taranto con la sconfitta dell'esercito di Pirro nel 275 a Benevento. La potenza emergente di Roma doveva ben presto scontrarsi con quella di Cartagine, la prima potenza economica e militare del Mediterraneo occidentale. Con le guerre puniche, combattute dal 264 al 202 a. C. e chiusesi definitivamente con la battaglia di Zama, i Romani avviano la definitiva conquista del Mediterraneo, ottenuta con i successi militari conseguiti contro la Macedonia e la Siria. L'espansione romana si completerà con le conquiste della Gallia (l'attuale Francia) e dalla spagna. Le istituzioni repubblicane, non più in grado di reggere le sorti di un impero tanto vasto, vengono progressivamente sostituite da forme di governo che concentrano il potere nelle mani di un solo uomo: è il periodo di Giulio Cesare, di Marco Antonio e soprattutto di Ottaviano Augusto, che segna il passaggio dalla repubblica al principato. Proprio sotto Ottaviano si compie una riforma che porta alla nascita di circoscrizioni amministrative che ricordano in parte quelle attuali: l'Italia venne infatti divisa in undici regioni e le città di Roma in quattordici quartieri. Dall'età del principato, segnata dal difficile contemperamento di interessi tra il principe e la classe senatoria, restano le figure di Caligola, Nerone, Vespasiano e Traiano, che portò l'impero alla sua massima espansione; nel III secolo d. C. Roma controllava l'intero bacino del Mediterraneo ed i territori imperiali si estendevano dalla Spagna al Mar Nero, dal Nord Africa alla Gran Bretagna.
Con l'imperatore Marco Aurelio inizia il declino economico e militare di Roma, accompagnato dalla pressione dei barbari (popolazioni germaniche). Aumenta il potere dell'esercito, gratificato con provvedimenti che comportano oneri elevatissimi scaricati sulla popolazione, già provata da una crisi economica molto pesante; il principe diventa ''dominus'', monarca assoluto al vertice di una struttura gerarchica piramidale realizzata con le riforme di Diocleziano: l'impero viene diviso in quattro prefetture, a loro volta divise in dodici diocesi e numerose province. Il fulcro dell'impero si sposta sempre più da Roma dall'Italia verso oriente, perché le province più orientali hanno assunto con il passare del tempo un ruolo prevalente. Costantino prosegue nell'opera del predecessore spostando addirittura la capitale dell'impero da Roma a Bisanzio, sul Bosforo, e ribattezzando per l'occasione la città col nome di Costantinopoli. Sempre sotto Costantino si realizza un altro precedente storico destinato a condizionare l'identità della popolazione: a dispetto delle persecuzioni operate da Decio e dallo stesso Diocleziano, il cristianesimo si era diffuso fino a diventare religione di massa; Costantino, con l'editto di Milano del 313, concede a tutto il popolo libertà di culto, legittimando il cristianesimo ed accattivandosi il sostegno della gerarchia ecclesiastica. Il rapporto tra Stato e Chiesa condizionerà da allora ogni epoca storica lasciando tracce ancora oggi evidenti.
I popoli germanici intanto hanno fatto il loro ingresso all'interno dei confini dell'impero e germanici sono molti esponenti dell'esercito e della burocrazia statale; di fronte all'impossibilità di gestire un territorio tanto vasto con un'organizzazione statale unitaria, alla morte dell'imperatore Teodosio nel 395 l'impero viene diviso in due parti: l'Impero Romano d'Occidente e l'Impero Romano d'Oriente. Le grandi migrazioni di popoli nell'Europa continentale porteranno, nell'Impero Romano d'Occidente, alla nascita di regni romano-barbarici; gli Unni di Attila e soprattutto i Visigoti di Alarico sfondano le linee difensive dell'Impero a nord e nel 410 mettono a sacco la città di Roma, che sarà occupata nel 455 dai Vandali di Genserico. La dominazione dei barbari (Visigoti, Svevi, Vandali, Burgundi, Franchi, Ostrogoti), che pone fine all'epoca romana inaugurando il Medioevo con la destituzione di Romolo Augustolo nel 476 ad opera di Odoacre, è caratterizzata dalla compresenza di istituzioni giuridiche romane accanto alle leggi di ciascun popolo occupante. Proprio questa conservazione degli istituti giuridici romani rappresenta il filo conduttore che ha permesso il retaggio di gran parte della civiltà romana alle attuali nazioni dell'Europa continentale; diversamente il succedersi di regni germanici portatori di proprie tradizioni avrebbe probabilmente innescato fenomeni di contaminazione capaci di dare al corso della storia una diversa direzione.
L'unico tentativo di contrastare l'affermarsi delle dinastie germaniche ricomponendo l'Impero d'Occidente si deve a Giustiniano, imperatore d'Oriente che sconfisse i Vandali nel 554 e gli Ostrogoti nel 555, ma la discesa dei longobardi in Italia nel 568 con il Re Alboino pone fine anche a questo ultimo periodo. La dominazione longobarda non interessò l'intera penisola: rimasero ai bizantini i territori costieri del nord-est, la Liguria, la Sardegna, la Sicilia, la Calabria, la Puglia, la zona compresa tra Amalfi e Napoli, la regione di Roma ed un corridoio che la univa a Ravenna. Si individuano così divisioni territoriali importanti: quella tra la pianura Padana e la regione adriatica fino ad Ancona e quella nell'Italia centrale. Nel 728 il re longobardo Liutprando dona alla Santa Sede il castello di Sutri: è l'ufficializzazione del potere temporale della Chiesa. Il rapporto tra Stato e Chiesa fu particolarmente evidente con il regno romano-barbarico dei Franchi, inaugurato nel 774 con la sconfitta dei Longobardi a Pavia; il regno franco fu senz'altro il più stabile, malgrado le invasioni e incursioni ad opera di Normanni, Saraceni e Ungari; gli arabi, in particolare, iniziano la conquista della Sicilia nell'827, durante la dinastia carolingia; saranno cacciati dai pisani nel 1015. L'undicesimo secolo si caratterizza per una vistosa crescita demografica in tutta l'Europa e per l'affermarsi di un rinnovata cultura militare che porta, in Campania, alla nascita del primo principato normanno nel 1029. I Normanni conquisteranno i possedimenti bizantini, determinando la fine della loro presenza in Italia e, nel 1091, la Sicilia.
La crisi della dinastia carolingia segnò anche la fine del modello organizzativo dello stato che contava su una solida struttura piramidale in grado di controllare il regno; si affermarono entità amministrative, giuridiche e territoriali minori: le signorie feudali (integrate nel regno normanno con una serie di funzionari regi) ed i comuni, sviluppatisi soprattutto nell'Italia centro-settentrionale attorno ai centri urbani grazie all'affermarsi della borghesia mercantile e dell'aristocrazia militare. Questi ultimi assunsero talora i caratteri di vere e proprie città-stato, su cui si affermarono spesso signorie celebri che prosperano fino al XV secolo; nell'Italia meridionale invece sopravvisse una forma di integrazione tra strutture imperiali e baronie feudali. Alla dinastia dei Normanni seguirono gli Svevi, gli Angioini e gli Aragonesi, che verso la metà del XV secolo controllavano il Regno di Napoli e la Sicilia. La pace di lodi (1454) pose fine ad un periodo turbolento per il nord della penisola fissando i criteri della politica di equilibrio tra gli stati. Si distinguevano, da nord a sud: il Ducato di Savoia, il Ducato di Milano, i domini estensi, le Repubbliche di Venezia, Genova, Lucca, Firenze e Siena , lo Stato della Chiesa ed il Regno di Napoli; Sicilia e Sardegna facevano parte del regno d'Aragona.
Con questa disposizione territoriale l'Italia usciva dal Medioevo accompagnata dai prodromi del Rinascimento, che riassume i valori della civiltà umanistica raggiungendo il suo acme dopo la morte, nel 1492, di Lorenzo il Magnifico. Nel periodo che segue, la penisola diventa terra di conquista per gli eserciti dei grandi stati unitari, la Francia e la Spagna: i francesi conquistano Milano nel 1499, gli spagnoli si impadroniscono di Napoli nel 1504. I conflitti, che insanguinano l'Europa nel Seicento, e i successivi riassestamenti dei rapporti tra le grandi potenze continentali interessano in modo profondo anche l'Italia: con la pace di Utrecht del 1713 Milano e Napoli passano all'Austria e si afferma il regno sabaudo, che esplicherà un ruolo determinante nel processo di unificazione. La seconda metà del Settecento segna un periodo di relativa stabilità che vede l'Austria controllare i ducati di Milano e Mantova ed il Granducato di Toscana, frutto dell'espansione della Repubblica Fiorentina; gli Spagnoli controllano invece il Regno di Napoli, separati dai domini austriaci dallo Stato della Chiesa, esteso sul Lazio, l'Umbria, le Marche e la Romagna.
L'apparente solidità di questo equilibrio viene sconvolta dall'invasione napoleonica che porta nel 1806 tutta la penisola sotto il controllo dell'imperatore dei francesi, determinando altresì la fine del Sacro Romano Impero. Dopo il Congresso di Vienna (1814-15) si apre l'era della restaurazione delle monarchie assolute che divide l'Italia con il Regno di Sardegna (Piemonte, Liguria, Sardegna) sotto la dinastia sabauda, i Ducati di Parma e Piacenza, Lucca, Modena, il Granducato di Toscana ed il Regno lombardo-veneto sotto controllo austriaco, lo Stato della Chiesa (Romagna e parte dell'Emilia, Marche, Umbria, Lazio) con la restaurazione dell'autorità pontificia ed il Regno delle due Sicilie (Abruzzo, Molise, parte del Lazio, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia) sotto Ferdinando IV di Borbone. Le idee della Rivoluzione francese avevano tuttavia lasciato traccia nella borghesia italiana che, affidandosi al pensiero liberale e all'azione della carboneria e della ''Giovane Italia'' di Giuseppe Mazzini, avviò il processo rivoluzionario teso alla cacciata dei sovrani assoluti e alla promulgazione di costituzioni liberali negli stati italiani in vista dell'unificazione nazionale. I primi moti insurrezionali partirono nel 1821 da Napoli e dal Regno di Sardegna per estendersi nel 1830 a Modena, alla Romagna e alle Marche. Dopo gli iniziali successi, i moti furono repressi dalla potenza austriaca che dovette fronteggiare una nuova, imponente iniziativa nel 1848 (prima guerra d'indipendenza).
Nel 1857, per iniziativa di Cavour, il Piemonte assunse un ruolo di leadership trasformando il moto rivoluzionario in un'azione politica e diplomatica internazionale . Stretto un accordo con Napoleone III, l'esercito piemontese scese in campo contro l'Austria al fianco dei francesi nella seconda guerra d'indipendenza (1859) che portò alla liberazione della Lombardia avviando il processo di unificazione; l'iniziativa piemontese da nord e quella di Giuseppe Garibaldi da sud portarono all'annessione al Piemonte dell'Emilia e della Toscana l'11 - 12 marzo 1860, cui fecero seguito l'annessione del Regno delle due Sicilie il 21 ottobre e quella delle Marche e dell'Umbria, tolte al papato, il 4 e 5 novembre. Il 17 marzo 1861 veniva proclamato il Regno d'Italia, cui mancavano ancora il Veneto (annesso alla fine della terza guerra d'indipendenza, nell'ottobre 1866) e quel che restava dello stato Pontificio, caduto con la presa di Roma ad opera dei bersaglieri regi il 20 settembre 1870. Nei primi anni di vita il nuovo stato unitario dovette affrontare i problemi legati a secoli di frammentazione avviando l'opera di omologazione dei sistemi monetari e legislativi, delle infrastrutture di trasporto e degli ordinamenti militari dei vecchi Stati preunitari; al governo del Paese si alternano la Destra storica e la Sinistra di Agostino Depretis. Nel 1878 a Vittorio Emanuele II successe Umberto I sul trono d'Italia e quattro anni più tardi venne stretta la Triplice Alleanza tra Italia, Germania e Austria - Ungheria; l'opera di realizzazione delle infrastrutture aveva portato ad un modesto miglioramento delle condizioni di vita ed economiche al nord, ma il Paese versava in gravi difficoltà economiche che portarono ad un massiccio fenomeno emigratorio, soprattutto verso le Americhe, in seguito al quale si sono formate numerose ed estese comunità di italiani all'estero. Gli anni a seguire vedono l'avvio di una politica coloniale con la conquista delle coste del Mar Rosso, L'avvento al potere della ''nuova Destra'' di Francesco Crispi e la nascita a Genova, nel 1892, del Partito dei lavoratori, poi Partito Socialista italiano. Nel 1912, anno dell'introduzione del suffragio universale maschile, con la conquista della Libia si completava la politica di espansione coloniale italiana nel Mediterraneo, resa possibile dagli accordi della Triplice Intesa conclusi nel 1887, che tuttavia erano costati la rinuncia alle terre irredente (Trento, Trieste, l'Istria e la Dalmazia) a favore dell'impero austro-ungarico.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, nel 1914, si fecero sempre più forti le pressioni sul governo per l'entrata in guerra al fianco di Francia, Russia e Gran Bretagna contro l'Austria; dopo mesi di incertezza, nel 1915, il primo ministro Giolitti credette alle pressioni interventiste impegnando l'esercito in un conflitto sanguinoso e logorante, che si risolse tre anni più tardi con la vittoria italiana favorita dal disgregarsi della potenza austro-ungarica. L'Italia ottenne Trento, Trieste e l'Istria ma uscì provata dalla guerra, come del resto quasi tutti i Paesi belligeranti, che si trovavano di fronte ad una crisi demografica (il conflitto era costato milioni di vite umane) ed economica senza precedenti, con la necessità di convertire l'industria, votata alle esigenze belliche. In un quadro generale di sbandamento ed abbruttimento dello spirito nazionale si affermò il partito fascista guidato da Benito Mussolini che ottenne dal Re Vittorio Emanuele III la carica di capo del governo nell'ottobre del 1922. Ben presto il fascismo mostrò la sua natura nazionalista ed autoritaria fino ad attuare un colpo di stato, il 3 gennaio 1925, con cui Mussolini sciolse i partiti di opposizione ed avviò una dittatura destinata a lasciare tracce indelebili nella coscienza nazionale del Paese. Gli anni a seguire sono caratterizzati dalla campagna d'Etiopia (1935-36), dalla partecipazione alla guerra civile spagnola e soprattutto dal ''patto d'acciaio'' con la Germania del cancelliere Adolf Hitler, impegnato in una politica aggressiva che preparava il disastro della seconda guerra mondiale. La guerra scoppiò nel 1939, l'Italia rientrò nel giugno del 1940 ma l'insuccesso delle operazioni provocò una scissione all'interno del Gran Consiglio del Fascismo che nel luglio del 1943 mise in minoranza Mussolini attribuendo al Maresciallo d'Italia Pietro Badoglio la carica di primo ministro. Le forze armate tedesche occuparono la penisola avviando il periodo più buio della storia del regno, concluso solo con la liberazione ad opera delle forze alleate anglo-americane e la fine delle ostilità.
Dopo la fine della guerra la ricostruzione vedeva protagonisti quanti si erano distinti nella resistenza armata delle divisioni partigiane che avevano combattuto l'esercito tedesco; il 1945 è l'anno della formazione del primo governo presieduto da Alcide de Gasperi mentre la comunità degli stati dà vita all'Organizzazione delle Nazioni Unite. L'anno successivo Vittorio Emanuele III abdica in favore di Umberto II ma la pessima prova data dalla corona nel periodo di maggiore difficoltà e l'accusa di connivenza con la dittatura fascista portano a plebiscito che il 2 giugno 1946 trasforma l'Italia in una repubblica parlamentare condannando la famiglia reale all'esilio. Un'assemblea Costituente riunisce poi le forze politiche del nascente stato repubblicano nella stesura della costituzione ancora oggi in vigore. Gli anni difficili del dopoguerra danno la veste definitiva alla nazione italiana: si assiste al consolidamento del rapporto preferenziale con gli Stati Uniti d'America che attuano il cosiddetto ''piano Marshall'' di aiuti alla ricostruzione dell'Europa disastrata dal più terribile conflitto nella storia dell'uomo; si acquisisce l'ostilità tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, che porterà alla divisione del mondo in blocchi contrapposti. Nel 1948 si attua il blocco di Berlino (la costruzione del muro avverrà nel 1961), nel 1949 nasce la NATO e nel 1957 a Roma si conclude il trattato istitutivo della CEE: nel nuovo scacchiere europeo e mondiale la posizione dell'Italia si delinea con i limiti e le relazioni internazionali che ancora oggi la caratterizzano. La ricostruzione dell'economia e del tessuto sociale, sconvolti dalla guerra, è destinata a durare per molti anni dopo la fine del conflitto: a partire dagli anni '50 cala rapidamente ed in misura consistente il tasso della popolazione attiva occupata nell'agricoltura mentre si espande l'industria edilizia che deve risollevare intere città rase al suolo dai bombardamenti. Questo fenomeno, in parte alimentato dalle rimesse degli emigrati, favorisce a sua volta nuovi fenomeni migratori dal sud al nord del Paese e determina l'affermazione della nuova borghesia imprenditoriale. Nei primi anni '60 (sono gli anni del cosiddetto ''boom'' economico) si assiste ad una crescita evidente del benessere con la costruzione di un tessuto industriale composito ed articolato che porta il Paese vicino al pieno impiego della manodopera; la crescita tuttavia è avvenuta in modo disarmonico: il sud versa ancora in condizione di maggiore arretratezza economica e presenta livelli di reddito generalmente più bassi con un tasso di disoccupazione nettamente superiore alla media nazionale.
L'Italia è oggi uno dei sette Paesi più ricchi e industrializzati del mondo, se bene la scarsità di materie prime ne faccia soprattutto un polo di trasformazione; dell'attività di sfruttamento delle risorse del sottosuolo (mercurio e altri metalli in Toscana, carbone in Sardegna, zolfo in Sicilia) la maggior parte e definitivamente abbandonata o vive un periodo di profonda crisi; resiste l'attività di estrazione di marmo pregiato dalle cave delle Alpi Apuane, in Toscana. Il paese dipende dall'estero per l'approvvigionamento energetico: l'esito di un referendum popolare impedisce da anni lo studio e lo sfruttamento dell'energia nucleare (che altrove ha consentito di riparare in buona parte all'assenza di giacimenti di petrolio e gas naturale); ciò ha spinto verso lo studio di fonti alternative che tuttavia non coprono che in piccola parte il fabbisogno nazionale. La ricerca e la fornitura di energia elettrica sono attività di monopolio pubblico. Nel sistema industriale prevalgono la piccola e la media impresa, organizzate talvolta in veri e propri ''distretti'' produttivi caratterizzati da una forte omogeneità: l'industria metalmeccanica è cosi prevalentemente concentrata nel nord del Paese, dal Piemonte all'Emilia; quella tessile conta poli importanti in Toscana e in Piemonte; l'industria siderurgica ha sviluppato i suoi centri principali in Puglia e in Campania. L'Italia è altresì uno dei principali produttori ed esportatori di materiale bellico e anche di tecnologia, come dimostrano le collaborazioni internazionali per la realizzazione di grandi opere infrastrutturali o la partecipazione all'industria aerospaziale; meno sviluppati e competitivi appaio invece i settori dell'elettronica e dell'informatica. Il settore dei servizi rappresenta un fenomeno di formazione relativamente recente,seguito allo sviluppo industriale degli anni'60; il terziario ha anzi consentito di ammortizzare i momenti di riflusso vissuti dal sistema produttivo nazionale negli anni '70 con l'espansione dei servizi destinati alla produzione e alla vendita, del credito e delle assicurazioni. Il commercio, in particolare, si presenta strutturato in piccole aziende operanti in settori merceologici specializzati: la grande distribuzione, limitata per lo più alle catene del commercio alimentare, è ancora inferiore rispetto ad altri Paesi europei, per dimensioni e numero di addetti. A sostenere le esportazioni e la crescita economica ha contribuito l'affermarsi sui mercati internazionali di un generale apprezzamento per la qualità di alcune produzioni italiane: è il caso dell'impiantistica e dei macchinari industriali, dell'industria calzaturiera, dell'abbigliamento, dell'arredamento e di vari altri beni di consumo. Il gusto, lo stile, l'inventiva e il design dei prodotti italiani hanno lanciato il cosiddetto ''made in Italy'' che ancora oggi pone l'industria nazionale ai primi posti in alcuni settori di attività. La crescente concorrenza internazionale pone tuttavia al sistema economico nuove sfide che rischiano di erodere i settori produttivi in cui l'Italia mantiene una posizione di primo piano: cominciano ad avvertirne i primi segnali persino l'industria della moda e quella del turismo, che hanno costituito per anni le principali voci di attivo della bilancia commerciale. Un aspetto particolare è costituito dall'integrazione economica con gli altri partner dell'Unione Europea, che ha costretto ad un ridimensionamento in alcuni settori produttivi. Le politiche comunitarie in campo agricolo ed alimentare, ad esempio, hanno imposto limiti alla produzione portando l'Italia, Paese della lunga tradizione agricola e dalla rinomata cultura gastronomica, a dipendere dall'estero per l'approvvigionamento alimentare.
La Repubblica Italiana è qualificabile come uno stato unitario regionale, i cui elementi costitutivi sono il popolo, il territorio ed l'ordinamento giuridico, e caratterizzato da organi centrali per lo svolgimento di funzioni statali pur garantendosi le autonomie e gli ordinamenti locali. Il costituente ha, inoltre, delineato i contorni dello stato sociale garantendo eguali libertà e dignità a tutti i cittadini e imponendo la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale alla piena realizzazione della persona umana e alla sua partecipazione alla vita politica, economica e sociale. L'Italia è una repubblica democratica (art. 1, comma I, Cost.) in ossequio al risultato del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, non modificabile neppure con la procedura della revisione costituzionale. Nella Repubblica democratica tutte le cariche pubbliche si riconducono al consenso del popolo come loro unica fonte. L'Italia, inoltre, uno stato parlamentare perché il suo ordinamento prevede due Camere elettive ed un Governo collegato al Parlamento dal rapporto fiduciario, mentre il Presidente della Repubblica si pone in posizione di rappresentanza, indirizzo e limitate funzioni di controllo.
Gli organi costituzionali (il Corpo elettorale, il Presidente della Repubblica, il
Parlamento, il Governo e la Corte Costituzionale) sono elementi necessari per il
corretto funzionamento dell'assetto costituzionale e della forma di governo; sono,
infatti,
al vertice dell'organizzazione statale, in una posizione di reciproca indipendenza e di
parità giuridica che non esclude la possibilità di reciproci controlli o di poteri di
iniziativa e di impulso.
Il Corpo elettorale: supremo organo costituzionale, è la parte attiva del popolo,
cui è attribuita la sovranità, che esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione
(art. 1 Cost.). Allo scopo di evitare che la democrazia
degeneri in dittatura, viene statuito il principio di legalità costituzionale, che
assoggetta il popolo alla Costituzione nell'esercizio della sovranità. Il Corpo
elettorale manifesta la propria volontà attraverso l'elezione degli
organi rappresentativi e gli atti di democrazia diretta (il referendum abrogativo o
l'iniziativa popolare).
Il Presidente della Repubblica: esercita funzioni di garanzia e di controllo
sugli altri organi costituzionali, senza svolgere funzioni attive di governo. In quanto
''super partes'', è tutore dei valori costituzionali e rappresentante
dell'unità nazionale (art. 87, comma 1, Cost.). Viene eletto dal Parlamento in seduta
comune con la partecipazione di tre delegati per ogni Regione e dura in carica sette
anni. L'elezione avviene a scrutinio segreto: per i primi tre
scrutini è richiesta la maggioranza dei due terzi dei componenti l'assemblea, per gli
scrutini successivi è invece sufficiente la maggioranza assoluta (la metà più uno, artt.
83 e 85 Cost.). Per la sua eleggibilità la Costituzione
richiede requisiti essenziali quali la cittadinanza italiana, l'età non inferiore a
cinquanta anni, il godimento dei diritti civili e politici, la mancanza di parentela con
la Casa Savoia e l'incompatibilità con qualsiasi altra carica
al momento del giuramento con cui assume le proprie funzioni (art. 84 Cost.). In caso di
impedimento temporaneo, le sue funzioni sono esercitate dal Presidente del Senato; in
caso, invece, di impedimento permanente o di morte o di
dimissioni, il Presidente della Camera dei Deputati indice l'elezione entro quindici
giorni (art. 86 Cost.). Per gli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni vige il
principio dell'irresponsabilità politica e giuridica, eccetto
che ''per alto tradimento ed attentato alla Costituzione'' (art. 90 Cost.). Per gli atti
compiuti al di fuori dell'esercizio delle sue funzioni, è pienamente responsabile alla
pari con qualsiasi altro cittadino. Tra le prerogative
del Presidente della Repubblica sono da ricordare la particolare tutela penale (artt.
227, 278 e 279 c. p.) e la dotazione patrimoniale. I suoi poteri sono stati distinti
secondo diversi criteri: in relazione alle funzioni dello stato,
si individuano gli atti inerenti alla funzione legislativa (la promulgazione delle
leggi), atti relativi alla funzione giurisdizionale (la presidenza del Consiglio
Superiore della Magistratura), e atti concernenti la funzione esecutiva.
Tra le funzioni più rilevanti si ricorda che il Presidente autorizza la presentazione
alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo (L. 400/88); promulga le
leggi ed emana decreti aventi valore di legge e i regolamenti;
indice le nuove elezioni delle Camere ed il referendum popolare sulle leggi dello stato;
invia messaggi alle Camere; nomina i funzionari dello stato; riceve i rappresentanti
diplomatici di altre nazioni; ratifica i trattati internazionali;
ha il comando delle Forze Armate; presiede il Consiglio Supremo di Difesa ed il
Consiglio Superiore della Magistratura; concede la grazia.
Il Parlamento: nell'assetto istituzionale repubblicano il Parlamento caratterizza
la forma di stato e di governo e, quale organo costituzionale rappresentativo,
rispecchia la volontà politica del Corpo elettorale da cui viene
eletto nella quasi totalità dei suoi membri, ad eccezione dei senatori a vita, nominati
dal Presidente della Repubblica oppure di diritto perché essi stessi già Presidenti
della Repubblica. Il sistema parlamentare adottato è il bicameralismo
perfetto, in cui l'esercizio della funzione legislativa è demandato a due diverse
camere, il Senato della Repubblica e la Camera dei Deputati (art. 55 Cost.), eletti per
cinque anni a suffragio universale e diretto. A ciascuna camera
sono attribuiti i medesimi poteri, competenze e funzioni; esse godono altresì di
numerose prerogative: autonomia regolamentare, finanziaria ed amministrativa,
inviolabilità degli edifici, verifica dei poteri e tutela penale. I regolamenti
parlamentari prevedono altri organi e uffici strumentali ed accessori (Commissioni,
Giunte, Gruppi parlamentari). La Corte costituzionale rinvia la scelta del sistema
elettorale alla legge ordinaria che meglio si adegua ai diversi
contesti storici e politici. Una recente modifica legislativa (L. 276/93 e L.277/93), a
seguito di un referendum abrogativo, ha introdotto il procedimento elettorale
maggioritario cosiddetto temperato, corretto da una quota proporzionale:
per il 75% dei seggi (alla Camera ed al Senato) vige il sistema maggioritario; il
rimanente 25% dei seggi è assegnato, invece, con metodo proporzionale. L'iter
procedimentale di approvazione della legge si articola in tre fasi.
A) La fase preparatoria comprende l'iniziativa e l'istruttoria: titolari del
potere di proposta legislativa sono (art. 71 Cost.): il Governo, i parlamentari, il CNEL
in materia di economia e di lavoro, il Corpo elettorale (almeno
50.000 elettori), i Consigli Regionali in materie d'interesse regionale e i Consigli
Comunali per le leggi relative all'istituzione di nuove Province o al mutamento delle
circoscrizioni provinciali. Il progetto di legge viene assegnato
alla Commissione referente di ciascuna camera, competente per materia, che esamina
l'atto e prepara una relazione all'assemblea.
B) La fase costitutiva inerisce l'approvazione del testo che avviene prima
articolo per articolo e poi sulla legge nel suo insieme mediante quattro diversi
procedimenti. Qualora la discussione e la votazione si svolgono in aula
davanti all'assemblea si ha il procedimento ordinario, obbligatorio per le leggi in
materia costituzionale ed elettorale, di delegazione legislativa, di autorizzazione alla
ratifica dei trattati internazionali e di approvazione del
bilancio dello stato. Nei casi d'urgenza si ha un procedimento abbreviato che presenta
le stesse modalità di quello ordinario, ma con i tempi ridotti alla metà. I regolamenti
parlamentari stabiliscono, inoltre, in quali casi e forme
l'esame e l'approvazione dei disegni di legge sono deferiti alle Commissioni (in sede
deliberante) ed è prevista dalla Costituzione una serie di accorgimenti per evitare
abusi. Il quarto procedimento, previsto anch'esso dai regolamenti
parlamentari, si applica nel caso in cui alle Commissioni sia affidato il compito di
redigere i singoli articoli della legge secondo criteri e linee guida eventualmente
prefissati dall'assemblea; in tal caso, secondo la definizione
corrente, le Commissioni operano ''in sede redigente''.
C) La fase dell'integrazione dell'efficacia. Approvata da entrambe le Camere, la
legge è perfetta ma per divenire efficace necessita della promulgazione da parte del
Presidente della Repubblica (che è un atto di controllo di
costituzionalità) nonché della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dalla cui data
decorre un periodo di tempo detto ''vacatio legis'', generalmente di quindici giorni,
per l'entrata in vigore della legge, salvo dichiarazioni di
urgenza.
Il Parlamento esercita un controllo politico sull'operato del Governo,
attraverso la presentazione di interrogazioni, interpellanze e mozioni o l'istituzione
di commissioni di vigilanza o di inchiesta (art. 82 Cost.).
Inoltre le due camere, congiuntamente, espletano compiti in seduta comune, sotto la
presidenza del Presidente della Camera dei Deputati, indicati tassativamente dalla
Costituzione: l'elezione (art. 83) e il giuramento (art. 91) del
Presidente della Repubblica, la messa in stato d'accusa del Presidente della Repubblica
(art. 90), l'elezione di un terzo dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura
(art. 104), l'elezione di un terzo dei giudici costituzionali
(art. 135), la compilazione dell'elenco di cittadini tra cui sorteggiare i giudici
aggregati per i giudizi contro il Presidente della Repubblica (art. 135).
Il Governo: cui è attribuito il potere esecutivo, è costituito da una pluralità
di organi interni, sia monocratici (Presidente del Consiglio dei Ministri) che
collegiali (Consiglio dei Ministri); è stato oggetto di una recente
disciplina dettata dalla L. 400/88 che ha previsto anche organi non necessari, quali: il
Vicepresidente del Consiglio, i Ministri senza portafoglio, i Sottosegretari di stato,
gli Alti commissari, i Commissari straordinari, i Comitati
interministeriali. Il Governo costituisce espressione della maggioranza e si regge sulla
fiducia parlamentare. Il Capo dello stato designa un Presidente del Consiglio dei
Ministri affidandogli l'incarico di formare il Governo e su
proposta di questi nomina i Ministri (responsabili delle varie branche in cui si
articola l'organizzazione amministrativa). Dopo il giuramento, il Governo entra nelle
piene funzioni ed entro dieci giorni si presenta alle Camere per
ottenerne il voto di fiducia. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, ''primus inter
pares'', promuove e coordina l'attività dei Ministri, convoca il Consiglio dei Ministri
e dirige la politica generale del Governo. Il Consiglio
dei Ministri è l'organo collegiale costituito da tutti i Ministri, dal Presidente del
Consiglio, dal Vicepresidente del Consiglio e dal Sottosegretario alla Presidenza del
Consiglio che ha funzioni di segretario senza voto deliberativo.
Tra le funzioni istituzionali espletate dal Governo si inseriscono la funzione di
indirizzo politico di maggioranza (l'individuazione degli obiettivi che l'azione di
Governo deve perseguire e dei modi e degli strumenti per realizzarli),
la funzione di alta amministrazione (ovvero la direzione suprema dell'attività
amministrativa) e la funzione amministrativa in senso stretto, che consiste
nell'attività concreta diretta a perseguire i fini pubblici, nonché la funzione
normativa regolamentare. Accanto alle funzioni istituzionali, il Governo esercita in via
eccezionale la funzione legislativa attraverso l'emanazione di decreti legge e leggi
delegate. In base all'art.76 Cost. la delegazione legislativa
viene conferita nell'ipotesi in cui occorre disciplinare materie di particolare
complessità tecnica (come ad esempio la compilazione di un codice o di un testo unico
che richieda un'attività di coordinamento e sistemazione di una determinata
materia da parte di specialisti). Il ricorso ai decreti legge aventi forza di legge si
ha, invece, ''in casi straordinari di necessità ed urgenza'' (art. 77 Cost.): tali
decreti sono provvisoriamente esecutivi ma debbono essere convertiti
dal Parlamento con legge ordinaria entro sessanta giorni, altrimenti perdono efficacia e
non possono essere ripresentati, come ha ribadito la Corte Costituzionale in una celebre
sentenza dell'ottobre del 1996.
La Corte Costituzionale: il principio di rigidità della Costituzione del 1948
comporta che le leggi e gli atti aventi forza di legge debbano essere conformi alla
Costituzione; il controllo è attribuito dalla Corte Costituzionale.
La Corte ha altresì il compito di dirimere i conflitti di attribuzione tra i diversi
poteri dello stato, tra lo stato e le Regioni e tra le Regioni e di giudicare sulle
accuse promosse contro il Presidente della Repubblica e i Ministri,
nonché l'ammissibilità dei Referendum e, in sede penale, la messa in stato d'accusa del
Presidente della Repubblica. I giudizi di legittimità costituzionale investono non solo
le leggi ordinarie approvate dal Parlamento ma anche le
leggi regionali, i decreti legge e le leggi delegate emanate dal Governo, le leggi delle
Province autonome di Trento e Bolzano (uniche Province con competenza legislativa
nell'ambito del loro territorio), e gli Statuti delle Regioni
ordinarie approvati con legge ordinaria dello stato. Questo organo collegiale è composto
da quindici giudici, di cui cinque eletti dalle supreme magistrature dello stato (Corte
di Cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei Conti), cinque
dal Parlamento e cinque nominati dal Presidente della Repubblica. La scelta avviene tra
magistrati delle magistrature superiori, anche a riposo, avvocati con esercizio
professionale almeno ventennale e professori ordinari di università
in materie giuridiche. I giudici rimangono in carica per nove anni e non sono
rileggibili (art. 135 Cost.). Nei giudizi d'accusa la Corte viene integrata da sedici
membri scelti dalle Camere fra 45 cittadini idonei ad essere eletti
senatori, allo scopo di creare un collegio diretto a garantire la neutralità rispetto
alle forze politiche di maggioranza presenti nelle Camere.
Gli organi di rilievo costituzionale hanno una particolare importanza nell'ordinamento
italiano per le funzioni esercitate (ausiliare delle Camere o del Governo) e per la
posizione di indipendenza e di autonomia qualificata riconosciuta rispetto agli
altri poteri dello Stato, pur non essendo elementi necessari né organi sovrani. Sono
contemplati e non regolati nella Costituzione e possono essere soppressi o modificati
ricorrendo al procedimento di revisione costituzionale (art.
138 Cost.). Nello stesso dettato costituzionale si qualificano organi di rilievo
costituzionale: il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL), la Corte dei
Conti, il Consiglio di Stato, il Consiglio Supremo di Difesa e
il Consiglio Superiore della Magistratura.
Il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro: il CNEL, previsto dall'art. 99
Cost., è un organo collegiale, formato da esperti e rappresentanti delle categorie
produttive, avente funzioni di iniziativa legislativa, consultiva
e di stimolo all'attività di Parlamento, Governo e Regioni nelle materie inerenti
l'economia e il lavoro. Istituito nel 1957 (L. 33/57) e riformato nel 1986 (L. 936/86),
non ha mai svolto un ruolo particolarmente incisivo a causa del
timore del Parlamento di essere limitato da questa ''terza Camera economica''e dei
sindacati di essere scavalcati nei rapporti con il Governo. Il CNEL esercita la funzione
consultiva in tutti i settori economici in cui si attua l'intervento
pubblico ed esprime parere obbligatorio per la relazione previsionale e programmatica
che il Ministro del Bilancio e il Ministro del Tesoro sono tenuti a presentare al
Parlamento. In ogni altro caso i pareri sono facoltativi e mai
vincolanti nei confronti dell'organo che li ha richiesti. Al CNEL è attribuito un potere
di iniziativa legislativa in materia di economia e di lavoro; esso contribuisce
all'elaborazione della legislazione economica e sociale attraverso
la formulazione di osservazioni e proposte e lo svolgimento di studi e di indagini di
propria iniziativa o su richiesta degli organi legislativi. La L. 936/86 ha statuito
l'aumento del numero dei componenti, la pubblicità delle sedute,
nuovi compiti di vigilanza sulle leggi economiche, introduzione dell'archivio
computerizzato e la creazione di una moderna banca dati.
La Corte dei Conti: presente nell'ordinamento già prima dell'Unità d'Italia,
costituisce il massimo organo di controllo dell'amministrazione nonché la magistratura
in materia di contabilità pubblica. In base all'art. 100, comma
2, Cost., la Corte dei conti controlla preventivamente la legittimità degli atti
governativi per accertare il rispetto delle norme giuridiche attraverso l'apposizione
del visto, requisito di efficacia, e la conseguente annotazione
nei registri. Nell'ipotesi di rifiuto del visto, il Governo può chiedere la pronuncia
delle sezioni riunite e la registrazione con riserva. Inoltre, la Corte dei conti svolge
un controllo successivo sulla gestione del bilancio statale
attraverso il giudizio di parificazione e partecipa al controllo sulla gestione
finanziaria degli enti ''a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria''. L'art. 103,
comma 2, cost. riconosce alla Corte la ''giurisdizione nelle materie
di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge''. Le funzioni
giurisdizionali riguardano la responsabilità contabile dei pubblici impiegati e di
coloro che maneggiano denaro o beni pubblici, le pensioni dovute dallo
Stato o da enti pubblici, la responsabilità civile dei pubblici impiegati per danni
verso lo Stato od altre pubbliche amministrazioni (disciplinate dalla recente L.
639/1996). La Corte emette anche pareri obbligatori su tutte le leggi
che comportino modifiche o conferimento di attribuzioni della stessa Corte e sui disegni
di legge che modificano la legge sulla contabilità generale dello Stato. L'attuale
struttura, riformata dalle leggi nn.19 e 20 del 1994, prevede
a livello centrale sette sezioni di controllo e tre sezioni giurisdizionali per le
materie di contabilità pubblica. In ciascun capoluogo di Regione sono state inoltre
istituite sezioni giurisdizionali (e non anche di controllo) con
competenze estese al territorio regionale.
Il Consiglio di Stato: il Consiglio di Stato è organo consultivo e
giurisdizionale, costituito da sei sezioni, di cui le prime tre svolgono funzioni
consultive mentre le altre esercitano funzioni giurisdizionali. Ogni sezione
è composta dal presidente e da almeno sette consiglieri, nominati con decreto del
Presidente della Repubblica su delibera del Consiglio dei Ministri. Una metà dei posti
disponibili è riservata ai giudici dei Tribunali Amministrativi
Regionali; per un quarto si provvede attraverso un concorso cui possono partecipare
avvocati dello Stato, magistrati ordinari e amministrativi ed impiegati amministrativi
delle carriere direttive, mentre i rimanenti sono scelti dal
Consiglio dei Ministri tra coloro che per l'attività svolta o gli studi compiuti
appaiono particolarmente idonei all'esercizio della funzione. La funzione consultiva,
che connota il Consiglio di Stato come organo ausiliario, consiste
nell'esprimere pareri in materia giuridico-amministrativa, su richiesta di qualsiasi
organo dell'amministrazione statale (art. 100 Cost.). Si distinguono i pareri
facoltativi (che i soggetti possono richiedere se lo ritengono opportuno)
dai pareri obbligatori (che i soggetti sono tenuti a richiedere per legge) e tra questi
ultimi i pareri vincolanti, che obbligano la pubblica amministrazione ad agire nel modo
indicato, da quelli non vincolanti che consentono di discostarsi
dalla decisione presa dal Consiglio di Stato, dandone valida motivazione. In seguito
alla istituzione dei Tribunali Amministrativi regionali con L.1034/71, il Consiglio di
Stato si è trasformato in organo giurisdizionale di secondo
grado, attuando il principio del doppio grado di giurisdizione.
Il Consiglio Supremo di Difesa: il Consiglio Supremo di Difesa, organo
collegiale, coordina tutte le attività relative alla difesa dello Stato in base alla L.
624/50. E' presieduto dal Presidente della Repubblica (art. 87, comma
9, Cost.) ed è composto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dai Ministri degli
Esteri, dal Capo di Stato Maggiore della Difesa. Il D. P. R. n. 251/90 ha introdotto il
regolamento di attuazione della legge istitutiva del Consiglio
Supremo di Difesa chiarendo che tale organo esercita solo una funzione di alta
consultazione rispetto agli altri organi dello Stato -Governo, Ministro della Difesa,
Capo di Stato Maggiore dotati di competenze attive in materia di difesa.
Il Consiglio Superiore della Magistratura: il CSM ha la funzione di assicurare
l'autonomia e l'indipendenza della magistratura da ogni altro potere (art. 104 Cost.)
considerato che i magistrati sono soggetti soltanto alla legge,
reclutati per pubblico concorso ed inquadrati in specifiche carriere. Il CSM è
presieduto dal Presidente della Repubblica ed è composto da due membri di diritto (il
primo Presidente della Corte di Cassazione e il Procuratore Generale
della Cassazione e il Procuratore Generale della Cassazione), venti membri eletti tra
magistrati ordinari e dieci membri eletti dal Parlamento (in seduta comune, tra i
professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati
con almeno 15 anni di esercizio). I componenti durano in carica quattro anni, non sono
immediatamente rieleggibili, sono incompatibili con la carica di membro del Parlamento,
dei Consigli Regionali, della Corte Costituzionale nonché
con quella di Ministro o di Sottosegretario di stato e non possono essere iscritti negli
albi professionali o essere titolari di imprese commerciali o fare parte di consigli di
amministrazione di società commerciali. Le attribuzioni
che spettano esclusivamente al CSM, come organo di autogoverno della magistratura,
riguardano: assegnazioni, promozioni, mutamenti di sede e di funzioni ed ogni altro
provvedimento relativo allo status dei magistrati; provvedimenti
disciplinari nei confronti dei magistrati (l'azione disciplinare può essere proposta dal
Ministro di Grazia e Giustizia o dal Procuratore Generale della Corte di Cassazione);
designazioni di professori o avvocati con meriti insigni
per la nomina a magistrati di cassazione (art. 106 Cost.); nomina e revoca dei
magistrati onorari e dei giudici laici delle sezioni specializzate dei tribunali (art.
106 Cost.); pareri al Ministro di Grazia e Giustizia, ove richiesti,
su disegni di legge riguardanti l'ordinamento giudiziario e l'amministrazione della
giustizia e proposte sulle modificazioni delle circoscrizioni giudiziarie e dei servizi
relativi alla giustizia. Con l'istituzione del CSM risulta
evidente che mentre al Ministro di Grazia e Giustizia spettano l'organizzazione ed il
funzionamento dei servizi giudiziari e la promozione dell'azione disciplinare nei
confronti dei magistrati, il CSM è tenuto invece ad assicurare
il rispetto dei principi di autonomia e di imparzialità richiesti a tutela della
magistratura.
La Costituzione (art.5) statuisce che ''La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e
promuove le autonomie locali '', nonché (art. 114) che ''La Repubblica si riparte in
Regioni, Province e Comuni''. La piena attuazione del principio dell'autonomia
si realizza, quindi, trasferendo pubblici poteri e funzioni ad enti che rappresentano le
esigenze delle collettività stanziate su un determinato territorio. Gli enti locali
sono, perciò, enti rappresentativi delle collettività locali
ed autonomi, in cui l'individuazione dei fini da perseguire e degli strumenti più idonei
per realizzarli viene compiuta non dallo stato ma dalle stesse comunità locali,
nell'ambito dell'indirizzo politico costituzionale. Oltre all'autonomia
politica, gli enti territoriali godono di un'autonomia normativa (le Regioni emanano
leggi regionali e i Comuni e le Province adottano regolamenti), statutaria
(l'organizzazione interna è disciplinata dallo Statuto previsto dalla Costituzione
per le Regioni ordinarie, da leggi di rango costituzionale per le Regioni speciali, e
dall'art. 4 della L. 142/90 per le Provincie e i Comuni), amministrativa (emanano atti
amministrativi che hanno lo stesso valore di quello dello
stato) e finanziaria (impongono tributi per il finanziamento della loro attività).
Le Regioni: i principi costituzionali in materia di autonomie locali hanno
trovato per lungo tempo attuazione soltanto parziale, con l'istituzione delle sole
cinque Regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Trentino-Alto
Adige, Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta), a cui ''sono attribuite forme e
condizioni particolari di autonomia'' per la specificità storica, geografica e politica
di ciascuna di esse. Alle Regioni a statuto speciale è conferita
una potestà legislativa primaria ed esclusiva che consente di legiferare ''al pari dello
stato'' nelle materie individuate dai rispettivi statuti (art. 116 Cost.). Solo dalla L.
281/70 è stata introdotta la normativa per l'attuazione
ed il funzionamento delle Regioni a statuto ordinario ''secondo i principi fissati dalla
Costituzione'' (art.115 Cost.). Nel caso di mancato rispetto di questo limite, allo
stato è consentito intervenire mediante la Commissione di
controllo sugli atti amministrativi regionali (art. 125) o sanzionare la Regione
promuovendo una questione di legittimità costituzionale delle leggi regionali (artt. 127
e 134) o addirittura sciogliendo i Consigli regionali per atti
contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge (art.126). Organi delle Regioni
(art.124) sono il Consiglio, la Giunta ed il suo Presidente, che è anche presidente
della Regione. La Costituzione attribuisce a questi enti un
ruolo fondamentale consentendo la partecipazione all'elezione del Presidente della
Repubblica (art. 83), l'iniziativa legislativa (art. 71), il potere per la richiesta di
referendum abrogativo (art. 75) e di referendum confermativo
(art. 138) nel procedimento di revisione costituzionale. La potestà legislativa delle
Regioni nelle materie individuate nell'art. 117 Cost. rappresenta la caratteristica
peculiare dell'ordinamento regionale italiano. Le leggi regionali
sono efficaci nel territorio della Regione, concorrono con le leggi statali che regolano
la stessa materia e non possono derogare ai principi generali dell'ordinamento ed ai
principi costituzionali. Accanto alla competenza legislativa
concorrente, alle Regioni a statuto ordinario è attribuita una potestà legislativa di
attuazione ed adattamento della normativa statale alle necessità proprie.
I Comuni e le Province: per quanto riguarda i Comuni e le Province, enti
preesistenti all'ordinamento repubblicano, le funzioni sono disciplinate ''nell'ambito
dei principi fissati da leggi generali della Repubblica'' (art.
128 Cost.). Per lungo tempo questo principio costituzionale è stato disatteso a causa
della minuziosa produzione normativa (Testi Unici 148/1915 e 383/1934) che lasciava poco
spazio all'autodeterminazione di questi enti. Con la L.142/90
si ha la definizione della Provincia come ente locale intermedio tra Regione e Comune,
che cura gli interessi e promuove lo sviluppo della comunità provinciale, dotato di
potestà statutaria, mentre il Comune è definito come ente autarchico,
territoriale ed elementare; la stessa legge prevede la creazione delle aree
metropolitane allo scopo di dare risposta ai problemi di vivibilità e di governabilità
dei grandi Comuni e dalle aree circostanti. Organi delle Province sono
un Consiglio, una Giunta ed un Presidente mentre per i Comuni sono il Consiglio, la
Giunta e il Sindaco. Quest'ultimo, eletto a suffragio universale diretto con sistema
maggioritario, presiede la Giunta ed esercita le funzioni di ufficiale
di governo; parti delle competenze amministrative comunali possono essere esercitate da
organi sub comunali, i consigli di quartiere o di circoscrizione. Vi sono infine diversi
organismi intermedi, che raggruppano enti territoriali
appartenenti ad una stessa area geografica, per libera costituzione o in virtù di
specifiche disposizioni di legge: distretti scolastici, comunità montane, consorzi,
comprensori, associazioni intercomunali.
La Pubblica Amministrazione, ovvero il complesso di tutte le strutture burocratiche per la realizzazione dei fini dello stato, nell'ordinamento italiano è governata dai tre principi fondamentali della legalità, del buon andamento e dell'imparzialità. Secondo il principio di legalità deve essere il Parlamento ad impartire con legge le direttive fondamentali in tema di struttura e di funzionamento dei pubblici poteri. Soltanto la disciplina di aspetti specifici viene, invece, demandata al Governo che emana regolamenti diretti ad attuare quanto previsto dalla legge. Al principio di buon andamento (teso alla realizzazione degli obiettivi programmati con solerzia, efficacia ed economicità) e a quello di imparzialità (in base al quale l'attività amministrativa deve essere libera da qualsiasi forma di condizionamento e deve svolgersi in maniera da non prevaricare le posizioni dei privati preferendo indebitamente un soggetto ad un altro) è ispirata la L.241/90 che, nel regolare il procedimento per l'adozione dei suoi atti, ha dettato ben precise specificazioni: a) l'obbligo per i funzionari della pubblica amministrazione di svolgere la loro attività nel rispetto dei criteri di economicità, di efficienza e di trasparenza; b) l'obbligo di concludere il procedimento entro un termine breve e predeterminato, motivando o provvedimenti assunti; c) l'obbligo di affidare lo svolgimento delle fasi più delicate ad un soggetto unico, referente diretto dei soggetti privati e nei loro confronti responsabile delle irregolarità di ogni adempimento procedurale. La trasparenza e il diritto di accesso consentono al cittadino di seguire l'iter burocratico delle pratiche svolte dalla pubblica amministrazione, controllando che le procedure siano attuate in modo imparziale. In stretto collegamento con i tre principi fondamentali dell'azione della pubblica amministrazione si pone il dettato dell'art. 98 Cost. che afferma che ''I pubblici impiegati sono il servizio esclusivo della Nazione''. Tale esclusività, rafforzata dall'espressa previsione di specifiche incompatibilità in settori particolarmente delicati, è volta a non far prevalere interessi di parte sul corretto svolgimento di pubbliche attività. L'attività amministrativa pubblica può essere svolta direttamente dagli organi dello stato o, come nel caso del decentramento esaminato a proposito delle autonomie locali, affidata ad enti autarchici non dipendenti dal potere centrale. Appartengono alla prima categoria le funzioni svolte in primo luogo dai ministeri, organizzati secondo una struttura gerarchica piramidale che vede al vertice la figura del Ministro, affiancato da uno o più Sottosegretari di stato; i ministeri sono a loro volta suddivisi in vario modo e caratterizzati da una pluralità di enti ed uffici operativi. Ad un'amministrazione centrale si affianca poi, integrandola, un'amministrazione periferica formata dagli uffici locali dipendenti dai singoli dicasteri (provveditorati agli studi, alle opere pubbliche, uffici distrettuali delle imposte, questure, capitanerie di porto, intendenze di finanza, ecc.); fa eccezione il Ministero degli Affari Esteri, che ha le sue sedi periferiche fuori dal territorio nazionale come sedi diplomatiche o consolari. Un ruolo particolare spetta infine al prefetto, rappresentante del Governo nelle singole province. Attraverso tale complesso di enti ed organismi si attua la gestione della funzione di governo, tesa alla prestazione dei servizi di interesse pubblico. Alcuni di questi, anche in campi assai importanti e delicati, sono stati trasferiti alla competenza degli enti territoriali: è il caso della sanità, che attraverso un servizio sanitario nazionale gestito dalle regioni assicura assistenza a tutti i cittadini indipendentemente dalla loro capacità contributiva; ad essa si affianca un servizio privato costituito da case di cura e da istituti diagnostici. Non hanno invece avuto seguito, per il momento, le proposte tese ad una parziale regionalizzazione dei servizi di sicurezza pubblica, oggi affidati a cinque corpi di polizia (Carabinieri, Polizia di stato, Guardia di Finanza, Polizia penitenziaria e Corpo forestale dello stato) dipendenti da altrettanti ministeri (Difesa, Interno, Finanza, Grazia e Giustizia, Risorse Agricole e Forestali); dipendono invece dall'amministrazione comunale i vari corpi di polizia municipale. Il descritto sistema di ingegneria costituzionale è, allo stato, oggetto di un articolato dibattito di riforma della forma di governo e dall'intero assetto istituzionale. All'uopo è stata istituita un'apposita commissione bicamerale, che ha già formulato le proposte di riforma costituzionale, da sottoporre all'approvazione del Parlamento.