VESUVIO:
Ubicato a sud-est di Napoli, è uno dei pochi vulcani ancora attivi in Europa. È formato da due coni vulcanici sovrapposti, dei quali quello esterno, di epoca anteriore e ormai spento, è il monte Somma, quello interno, più alto, è l'attuale Vesuvio. Fino al I secolo d. C. la sua natura vulcanica era nota solo a pochi studiosi, tanto che la cima era coperta da folti boschi e i fianchi erano occupati da vigne e abitazioni fino a quote relativamente alte. La prima eruzione ricordata in epoca storica, che fu anche la più tragica e rovinosa di tutte, fu quella del 24 agosto del 79 d. C. e seppellì sotto una coltre di lave e ceneri una vasta area circostante, cancellando le città di Pompei, Ercolano e Stabia. Questa immane disgrazia viene ricordata da Plinio il Giovane in due lettere scritte a Tacito, che rappresentano la più importante relazione sull'eruzione. Nelle missive è descritta dettagliatamente la catastrofe e la morte di Plinio il Vecchio, il grande naturalista che si trovava a capo Miseno in qualità di comandante della flotta ed era accorso coraggiosamente per soccorrere i pompeiani e osservare da vicino il fenomeno dell'enorme nube a forma di pino che si levava dal Vesuvio. Perirono in quell'occasione migliaia di persone, che avevano vissuto gli ultimi tragici momenti di vita nell'incertezza se abbandonare le loro abitazioni, scosse dai frequenti tremori della terra, o uscire all'aperto, sfidando la pioggia di cenere ardente e di lapilli infuocati nonché le soffocanti esalazioni sulfuree. Su Pompei e Stabia si riversò una quantità di ceneri, lapilli e scorie così enorme che le due città rimasero sepolte sotto uno spesso strato alto 6-7 metri. Ercolano, invece, fu investita da un'immensa fiumana di fango, sabbia e ceneri che, solidificandosi, divenne una massa compatta alta più di 20 metri, su una parte della quale è stato in seguito costruito l'attuale abitato. I templi e i ricchi edifici pubblici e privati, insieme a ogni minimo particolare della vita di quel tempo, sono stati fissati e conservati intatti attraverso i secoli sotto l'involucro di cenere, finché gli scavi archeologici, iniziati nel XVIII secolo, hanno riportato alla luce queste città scomparse. Dopo l'eruzione del 79, nei secoli successivi l'attività del Vesuvio fu caratterizzata da periodi eruttivi di intensità crescente, che terminavano con violente manifestazioni parossistiche, seguite da periodi più o meno lunghi di riposo. Sono da ricordare le eruzioni del 202 e del 472, che seppellirono sotto lava e ceneri gli insediamenti che si stavano ricostruendo, quella del 512, che causò danni così gravi che il re ostrogoto Teodorico condonò le imposte alle popolazioni colpite, e soprattutto quella del 1631, che interruppe un lungo periodo di completo riposo: durante questa catastrofica eruzione, che distrusse quasi tutti i villaggi circostanti e uccise 3.000 persone, la lava arrivò fino al mare e l'Italia meridionale fu oscurata da nubi per molti giorni. Nel corso dei secoli successivi si verificarono molte altre eruzioni di chiusura di periodi attivi, come quella del 1906, durante la quale la lava minacciò Torre Annunziata, mentre i materiali lanciati danneggiarono Ottaviano e San Giuseppe Vesuviano, e quella del 1929. L'eruzione del 1933 fu preceduta da scosse sismiche che segnarono l'inizio di una nuova fase di attività del vulcano, chiusasi con il parossismo del marzo 1944: durante questa eruzione terminale, le emissioni di lava e le esplosioni di cenere e altro materiale, che arrecarono gravi danni alle campagne e alle abitazioni, durarono undici giorni mentre le scosse sismiche continuarono anche negli anni successivi. Dopo quest'ultimo fenomeno eruttivo è iniziato l'attuale periodo di riposo, caratterizzato da manifestazioni fumaroliche dentro e fuori il cratere.