MALATESTA: Nobile famiglia romagnola il cui capostipite sarebbe da identificare con un Malatesta, ricco proprietario terriero del Montefeltro, ricordato in un atto del 1136. Fin dalle origini appare divisa in due rami: i Malatesta da Verucchio e i Malatesta da Sogliano. Il trasferimento della famiglia a Rimini è attestato in un documento del 1197, firmato da Gianni, figlio di Malatesta; nel 1239 un suo discendente, Malatesta I da Verucchio, ricoprì la carica di podestà di Rimini e qualche anno dopo la famiglia passò dallo schieramento politico ghibellino, cui aveva inizialmente aderito, a quello guelfo; in seguito alla riscossa ghibellina guidata dall'imperatore Corrado IV e da Manfredi, figlio naturale di Federico II di Svevia, fu costretta pertanto all'esilio e rientrò in città solo nel 1265. Nella prima metà del secolo XIV fu decimata da sanguinose e spietate lotte fratricide, che la indebolirono notevolmente. Quando poi, nel 1500, Rimini fu ceduta da Pandolfo V a Cesare Borgia e tre anni dopo a Venezia, ebbe fine la signoria dei Malatesta sulla Romagna. Trasferitasi successivamente a Roma, la famiglia risulta nel novero della nobiltà romana con il ramo dei conti Malatesta Ripanti. Tra i personaggi di maggiore spicco si ricordano Malatesta II da Verucchio, morto nel 1312, marito di Concordia Pandolfini, di famiglia ghibellina, e più volte podestà di Rimini. Dopo la sconfitta subita dall'imperatore Federico II di Svevia a Parma (1248), Malatesta II passò dalla parte dei guelfi, alleandosi con Carlo d'Angiò e instaurando la propria signoria sulla città di Rimini nel 1295. Da quel momento promosse una politica di concordia fra le fazioni, favorendo così lo sviluppo della sua città, cui diede nuovi statuti rispettosi dell'istituto comunale. Altro famoso esponente di questa famiglia fu Giovanni o Gianciotto lo Sciancato, figlio di Malatesta II da Verucchio e di Concordia Pandolfini, podestà di Forlì, Gradara e Firenze nonché signore di Pesaro, dove morì nel 1304. Nel 1275 Gianciotto sposò Francesca da Polenta, immortalata da Dante nella "Divina Commedia" per essere stata trucidata dal marito insieme al fratello di questi, Paolo, di cui era divenuta amante. Va ricordato inoltre Sigismondo Pandolfo (Rimini 1417-Forlì 1468), figlio naturale di Pandolfo III, che nel 1429 divenne signore di Fano, Rimini e Senigallia; sposò la figlia di Francesco Sforza ma, deciso a seguire nelle Marche e in Romagna una politica personale contraria agli interessi dello Sforza, passò al servizio dei fiorentini e poi dei veneziani, alleati della Repubblica Ambrosiana contro gli Sforza (1447).La sua politica spregiudicata e la sua ostinazione a non cedere le terre occupate appartenenti alla Chiesa, come voleva papa Pio II, gli guadagnarono, nel 1461, la scomunica e la sconfitta militare da parte delle truppe pontificie a Senigallia; sottomessosi al papa, mantenne solo la signoria di Rimini. Fu esperto condottiero, uomo di vasta cultura, poeta e mecenate ma ebbe carattere violento; molte le azioni delittuose che gli sono state attribuite: quasi certamente fece uccidere le sue prime due mogli, Ginevra d'Este (1440) e Polissena Sforza (1449), mentre nutrì un grande amore per Isotta degli Atti, che sposò nel 1456 e alla quale dedicò delicati versi, facendola più volte ritrarre dagli artisti di corte. Il suo mecenatismo è tuttora testimoniato a Rimini dal Tempio Malatestiano, per la cui costruzione volle alla sua corte Leon Battista Alberti.